Maria Organtini


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Il Libro

Le opere Poetiche > 1982-Uomo senza fine - Ediz. Rebellato

Prefazione


Il poeta... questo sconosciuto, sempre più raro esemplare da combattimento! Perché, generalmente, non si va oltre il nome e il titolo di una raccolta di brani, che non sono comunque, di un autore, il compendio della conoscenza e della cultura di vita, collocate a monte di ogni corso d'acqua che, ruscello, diventa torrente, fiume, mare ovunque.
Romana di nascita, adolescente già priva di spensieratezza, ha assorbito e subito, suo malgrado, le confidenze degli adulti che, stimolati dalla sua innocenza, ritrovavano valori perduti, ma non del tutto dimenticati. Residente successivamente a Torino, si è stabilita infine a Monza, collaborando ad una emittente privata con rubriche di vano interesse, aperte al dialogo con gli ascoltatori.
Dire di Maria Organtini, con rigore, significherebbe impresa biografica di estremo impegno: centinaia di articoli miranti a sensibilizzare l'opinione pubblica su temi e problemi relativi a restituire dignità all'individuo, ai diseredati, per l'inserimento di una dimensione almeno accettabile; sottoscrizioni per costose apparecchiature ospedaliere, assistenza ai ciechi, trapianti, coordinatrice-responsabile di iniziative a favore dei paesi sottosviluppati. Ultima creatura di questa, inesauribile, dinamica operatrice, il Cenacolo dei Poeti di Monza e Brianza, di cui è stata promotrice per accogliere le esigenze dei cultori della Musa Polimnia. La concezione poetica di Maria Organtini si fonda su cardini ben definiti: concisione, essenzialità, rifiuto della costruzione preordinata strutturalmente. Una scrittrice che poco concede all'estetica, perchè la sua stringatezza assume una connotazione misurata, sia pure entro ampi spazi, fornendo spesso una prospettiva ordinata e consequienzale di immagini secche, precise e talora esaltanti. Lo si rileva in «Una rosa»: confusa in tanta gente/che non ti riconosce./Amica di te stessa/poni i tuoi passi innanzi,/; in «Le tue mani»: Ho guardato le mie mani/erano vuote!/, e ancora in «The end»: E tu credi aver vissuto/un attimo/Stop, fine, the end./Non è un errore/ma solo un sospiro. E presente, filtrata con cura, la consapevolezza nell'esposizione di gioia e dolore. Disincantata dai torti sopportati, conosce la vita per averla patita in prima persona, attraverso una vasta gamma di implicazioni, pur nel rifiuto della sofferenza intesa, speculativamente, come giogo o personale vessillo ed avallo dell'autocompatimento. Accettazione coatta, non abbandono al dramma della solitudine, ma in umiltà costruttiva, come in «Voglia di piangere»: Questo liquido acre/che bagna - beffardo - il mio volto/non mi appartiene/e lascia il mio corpo/portando con sé/il mio amaro. Ribadito in un j’accuse di «Un Presepe mai nato»: Quando incominciai ad ambientarmi/giunse l'estraneo che mi eliminò./Così non vidi mai/il mio Presepe. Concludendo con «Sbagliato»: Mi sono trovata/adulta, cosciente di maternità/e il mio nido/preparato con amore/era stato distrutto. Affiora la disperata volontà di mai rinunciare, nell'attesa vana di un fiore, di un 'offerta d'amore, per recuperare emozioni che sono la giustificazione dell'esistenza, vedi «Tu mi condanni»: Domani, in un mondo diverso/ - con uomini nuovi - risorgerò!/Come Cristo prenderò la Croce/e insieme canteremo: Alleluia/, e «Lettera a un drogato»: Amico, stasera ti sei bucato/assaporando un frutto marcio./ Del frutto fresco troppo salato è il prezzo!; fino all'abbraccio di «Periferia»: Sarà perchè la periferia non fa distinzione/accoglie tutti con lo stesso cuore. La sua sintesi, cronaca viva del nostro tempo, affronta l'argomento che coinvolge la difficoltà esistenziale e, come vìndice in perfetta buonafede, schiocca le sue sferzate, investendo i tamburi allentati delle coscienze, provocando vibrazioni che inducono, quantomeno, alla riflessione. Affrancata dall'idea della morte, ha superato l'angoscia dell'ignoto, conscia che l'anima transita indenne, non prigioniera nelle dimensioni di un involucro destinato alla dissipazione. Perché «Uomo senza fine», titolo sibillino o evidente? Ci sono delle risposte, con un nesso logico che le accomuna negli scontri-incontri, delusioni-rivincite. Frutto della ricerca di autoidentificazione, difende il ruolo di donna che non deve essere presa, adoperata, ma resa cosciente di se stessa; ne consegue l'aspirazione femminile di un paritetico connubio-simbiosi, fra uomo e donna. Ne fanno fede «La maschera felice»: Brucio chi s'avvicina/al mio animo./Fiamme strazian_ti d'amore/ - mai ascoltato - /consumano tutti i miei giorni. In «Generosità»: Perché ho permesso al mio cuore/di parlare senza attendere/... «Oasi»: Quest'attimo di oasi/che ti donai/non seminarlo nel vento/ma serbalo nel cuore/la fresca acqua ti penetrerà./ «Un fiore»: Avrai acqua per dissetarlo/e amore, per aiu_tarlo a crescere?/ Io te lo dono. Dopo l'estrema offerta all'uomo, la vibratilità dei versi: Ho giocato stasera/nel mio essere/donna./, e l'amara fierezza di: Mentre si consuma/la carne fragile/io, risorgo!/, sublimando la rinuncia in: delicatamente presa tra le dita/l'ho riposta nel cassetto/dei ricordi sbagliati/perchè una nota stonata/non rovini il nostro I concerto d'amore.
Infine, carichi di pathos andaluso: ...tu chiudi con un bacio/la mia conchiglia/tenera al tocco magico./E riprendo a danzare per te - amore mio - /mentre un fazzoletto rosso/giace ai miei piedi.
Si può concludere sostenendo che, al di là dei valori estetici, si evidenzia senza riserve, la grande umanità che ispira l'autrice di queste liriche, con molta semplicità e freschezza, tipiche di un animo innocente.

Sandro Saffeni's







...una rosa - foto di Milena Scaccabarozzi

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