Maria Organtini


Vai ai contenuti

Il Libro

Le opere Poetiche > 1985-La leggenda dell'ambra - Ediz. Laboratorio delle Arti

IL LUOGO CUI IL LUOGO IN CUI L'AMBRA
È UNA BELLEZZA OCCULTA (E REMOTA)

a Maria Organtini

QUANDO FA SERA
UN VISO AZZURRO PIAN PIANO TI LASCIA,
UN PICCOLO UCCELLO CANTA SUI RAMI
DEL TAMARINDO.

(Georg Trakl, Poesie)

1.
La prima notte gli uccelli hanno avuto itinerari assai tesi, giochi assetati, dopo un ciclo graffiato dal tramonto e la memoria in apparenza pronta per il sonno, sotto un sipario di sensitive costellazioni. Le parole - diventate sussurro e balbettio sontuoso - tentavano di spezzare le distrazioni costanti dell'universo, e la loro poesia lasciò che ognuno di noi potesse in qualche modo baciarlo nella dismisura del fragile e della superfluità!
2.
È stato il tempo del sentimento (e del fuoco). Un cavallo (e tante figure sparse) continuavano i loro movimenti divertiti all'aperto, nella purezza degli esemplari e naturali en plein airs, in cui - in effetti - a qualcosa obbedivano, sebbene la libertà fosse idoleggiata e gli umori del silenzio scostati soltanto dalla monologia di insetti invisibili che attraversavano furtivi l'erba, in diretto contatto con certe loro tormentose allucinazioni, riversati comunque nella limpidità del sole e dell'ambra, e di tutti quegli elementi semantici che in più casi precedono un percorso di distanza o qualche insoddisfatta catastrofe.
3.
L'ambra era quel mare di trasparenze, senza afasie, né smarrimenti sostanziali. Un colore per vìvere, modellato per il miraggio, nel clima delle lotte crudeli e di certe false glorie, o scontate dinanzi alle vicende dell'aria, le risse collettive, la morte stretta alla quotidianità e appoggiata sul muro di qualsìasi strada. Incominciava con l'ambra la serie di intimi idilli terrestri, e nessuna improvvisa pioggia è mai riuscita a cancellare il quadro che la sua sostanza aveva immesso sulla scena del viaggio, tra le minute felicità, le lacrime della speranza, gli sguardi che contemplano la civiltà del Nulla e del diverso con infinita amarezza, e certi distanti e solitari paesaggi nel fresco e acre mattino.
4.
I fatti, cullati da tante minuscole illusioni, smanie implacabili, vortici, battesimi di campo, chiaroveggenze conflittuali, bizzarrie di qualche capogiro, di strani esemplari di fauna, e insieme di risposte intelligenti (e maligne), di scorte efficaci, mulini di sasso, contingenze religiose e mezzelune limpide, riattraversavano la fantasia e i luoghi del sogno, i problemi del giorno (e della notte), le scritture private e le consolazioni morbide, senza abolire la poesìa e le armi utili per proteggerla dai paladini dell'assenza, dell'indifferenza, dei crolli sui quali essa galleggia, dove abita l'io e dove fin da principio erano la porpora del cosmo e la tenera estasi del presente e del Dopo, e qualcosa che riusciva a definire un orizzonte, l'evidenza d'uno spazio della purità, lo spettacolo del mondo in cui agiscono la primavera delle innocenze, l'amore della vita, le terse e precoci albe dei boschi, gli assorti nodi delle riflessioni, il fumo che si disperde, il ricordo degli amici caduti o ciò che è sorgivo nel proprio segreto, ecc.
5.
Da questa insospettabilità dì vizi e di turbolenze civili, sebbene in minime aliquote e in preferenza spontanee e salmastre, Maria Organtini scopre una leggenda dell'ambra, attraverso linee poetiche di contatto verticale, metodicamente liricistiche, oscillanti tra le ombre azzurre e le fonti di destini umani, di incognite esistenziali, di connotazioni diaristiche del vissuto in cui l'essere è vagabondo, creatura di dolcezze e presentimenti di affettuosità; e l'amore diviene presenza avida e sottile, mai sindrome di punti deboli, di istintualità femminili, di stanche angolazioni post-borghesi, o condizione improvvisa del desiderio, espressa per adulti od organizzata per porsi attuale tra i ricciuti ippocampi del nuovo corso dell'eros, a favore del mostro che si sposta e avvinghia i corpi.
6.
Nel deserto la sua vicenda scritta è una spirale che cattura la genuinità delle illusioni emotive, assomiglia al trapestìo di gesti occulti, si fa remota e presente, fremente e catartica, elemento di chiarezza e di cognizione della possibile fiaba. Non è un'occasione propizia, intrisa di opportunità, di ansie che dovrebbero condurla alla volata finale, e tanto meno una rinuncia del proprio stato di vita e di automatica gioia della vita, ma un esercizio spirituale sotteso, privatissimo; un legame con la sincerità del ricordo, di ciò che quotidianamente germoglia nella fragilità individuale, così come fermarsi di fare scrittura, in un riposo da irregolarità e da stanchezza, prima di entrare nella sterpaglia comune.
7.
Nella scena inoltre esiste il potere di certe private controluci, che possono modificare l'insostituibilità della rotta e insieme il modo di ritrovarsi in una progettuale forma della realtà, di avere fiducia nelle fluttuazioni dei lacci con ciò che vive, le frenesie dei franchi tiratori, l'unghia delle figure consanguinee, i folletti che riaprono ogni giorno la loro pantomima, i calendarì che cercano rifugi nel giorno dopo, o il girasole se si sposta con la sua spinosa radialità gialla e sorniona. Ci sono nelle parole delle oscillazioni lineari, immagini che spingono ellissi magiche e curiose e concave altalene, tenui fulgori di follia dello sguardo, tracce del piccolo tempo……….in cui abita, gli spiragli da cui fa luce un commento di specchio; mai l'inchiostro (suadente) di ciò che divulga e sconnette, né l'età del proprio ritratto incorporabile a qualche fattualità sperimentale od espressionismo sdegnoso e stregone, ma l'ondulazione dell'epigrafe e del sussulto che si alza dal mare della pubertà, prima di fare la storia.
8.
Nella verve poeticistica s'odono cricchiolii, ciò che passa con i molluschi e sfreccia improvvisamente e stati facili dell'espressione; più attese che esiti forti; l'ape dei contenuti vi accede a un certo punto della conifera o della palma, riversa un qualsiasì equatore ribelle, ma la sua vicenda continua ai limiti di una felicità tutta propria, dispone i sintagmi senza drappeggi successivi, né ruba qualcosa alle antiche ed ostili polveri del linguaggio. La semplicità è un valore umano e un segnale comunicativo anziché una funzione terminologica, una cultualità insopportabile di Cassandre tragiche, e tanto meno un «lasciatemi divertire», che ormai modella il sistema della satira e del chiasso, o le istanze accovacciate in certi rifiuti d'amore, ed i racconti consumati per la pratica della femminilità, tutta irrisione e insidia frastagliata e minacciosa.
9.
Monza è una metafora solerte; Roma, da cui Maria Organtini proviene, un ictus anagrafico, di cui però ammonta modelli di proscenio e sostanze in vibrazione solenne, domande di affetto, palpiti a dispetto dei rumori del sofista. Ma indubbiamente la sua forma sensitiva ha un'anima non aguzza, nel sorriso che si esprime dopo aver elaborato le pulsioni del sé, i feticci dell'ansia, i godimenti della materia intellettuale e razionale, la rimozione delle incognite, o il discorso incompiuto da cui può già essersi espresso il suo modello potenziale e fondamentale.
10.
Le attenzioni della timidità sono inoltre un modo della sua ricerca, di ciò che verrà dopo per se stessa e, soprattutto, per la poesia; degli stessi timori e delle medesime incertezze d'un rapido slancio! È di là che Maria Organimi fa nascere la leggenda dell'ambra, irresistibilmente; le aspirazioni fisiche e mentali, ciò che chiede alla parola per sconfiggere il gigante del non dire, o ciò che s'espone perlaceo dinanzi al suo sguardo: «Le parole, diventano giganti / montagne dove mi perdo / mentre guardo la tua immagine che sorride / nella cornice d'argento». Ed è qui che la dichiarazione di poetica diviene confessio oris e, quindi, autodifesa dagli svanimenti, da ciò che il verbum non concede alle prime e algide stanze.
11.
Il pudore e il timore che sono stati di Virgilio e di Dante, e intanto «soffio di sensazioni» da cui l'autrice sempre riparte per fornire fili (lessicali) e moduli, riaffioranti dall'onda «ispi-rativa», alla poesia possibile, in modo che la sua «leggenda», più che impeti e bersagli, o culle infelici e spie del vuoto dialettico, abbia più densi bagliori di «ambra», e la leggenda della fiaba sia la sua leggenda, quasi per nuovo lessico e stile, e ogni pertinenza non soppianti impropriamente la perseveranza stessa del suo entusiasmo, sia scisso o unitario il cuore inerte del mondo ed ogni suggestione (o contrasto) si ramifichi per cogliere un meno sospeso polline, ma oltre i controsensi, o le stridule voci di quelle lingue irte come peste, certo inseguita da un alter ego soffice e connotativo, in cui s'annidano le proprie vibrazioni e il tiepido alito d'una sensitiva spontaneità, non spoglia, né multipla.

Domenico Cara










La leggenda dell’ambra


La fanciulla giunse
dal mare, si sciolse
i capelli e adagiò
il corpo, sulla sabbia.

Piano, piano il sonno
la trasportò oltre
la grande porta,
e quando le onde del mare
vennero a lambire
le conchiglie dei suoi piedi,
nulla di lei si mosse...

Solo un fremito
fece vibrare i capezzoli.

Avvolta nel sole
dischiuse le labbra
e amò come non mai
il Signore del mare
che depose accanto a lei
il miele dei suoi baci
racchiusi in gocce di sale
dove il sole dorato
aveva deposto il suo raggio.

Home Page | Le opere Poetiche | Le opere pittoriche | Le prefazioni scritte | Gli articoli scritti | Eventi - Contatti | Link | Mappa del sito


Torna ai contenuti | Torna al menu